L’ex giallorosso ha parlato della sfida di questa sera allo stadio ‘Olimpico’
ROMA NAPOLI INTERVISTA MORIERO / WEB – Intervistato da RadioIes, l’ex centrocampista giallorosso, Francesco Moriero, ha parlato della sfida di questa sera tra i giallorossi e i partenopei:
Hai vissuto Mazzone, confermeresti Luis Enrique?
“C’è da dire che sono due Rome diverse, quella di Mazzone era più italiana, più sanguinea, aveva un diverso modo di giocare. Il mister era sanguineo e voleva che la sua squadra fosse il Mazzone in campo, voleva grinta. Questa è una squadra che ha cercato di fare qualcosa di diverso e di portare la novità nel calcio italiano, che è molto più difficile, tattico, diverso da quello estero. Lui ha cercato di portare la novità, fino ad un certo punto ci è riuscito, poi è andato in difficoltà perché il calcio non è fatto solo di possesso palla, ma di altre situazione di gioco: sono importanti cattiveria e la fase difensiva. La Roma ha un possesso palla, anche noioso e gli allenatori italiani che sono preparati cercano di ripartiti in contropiede, ed è successo questo il più delle volte. Non mi va di dare giudizi, perché io sono allenatore e lui crede nel suo progetto, ma c’è qualcosa da rivedere e sono convinto che lui lo farà”.
Lei sulla panchina della Roma, sarebbe arrivato a Natale?
“No, assolutamente no. C’è una società che crede nell’allenatore e nel suo lavoro. Quando si crea un progetto si mette in preventivo che possa andare male. Io credo che i dirigenti stiano valutando la situazione. Il discorso è che magari un allenatore italiano avrebbe gestito meglio la situazione e una piazza come Roma. L’unico errore che c’è stato, sono state le ultime due partite, perché se facevi risultato, magari stavi attaccato al terzo posto, nel momento finale della stagione c’è stato questo calo mentale e fisico. Gli allenatori italiani sono giudicati subito a seconda dei risultati, quelli stranieri gli danno sempre più possibilità e fanno sembrare che siano più preparati di quelli italiani. Non ho niente contro Luis Enrique, ma io quando sono venuto al Lugano ho dovuto cambiare mentalità e ambientarmi in quella svizzera. Quando un allenatore straniero deve anche ambientarsi alla mentalità italiana”.
Da collega come ha visto l’approdo di Luis Enrique a Roma?
“Ero curioso, perché tutti vorrebbero giocare sempre per vincere con una squadra offensiva. Il calcio italiano è fatto di equilibri, non si può soltanto attaccare, si deve difendere perché ci sono squadre che ti studiano. Ha portato qualcosa di diverso, ma il calcio non è fatto solo di possesso palla, non si può solo attaccare e difendere. Un allenatore deve prendersi le sue responsdabilità quando le cose vanno male e lui lo sta facendo. De Rossi in difesa? Lui ha dimostrato di essere un grandissimo giocatore a centrocampo e non in difesa”.
Totti?
“Si sapeva che Luis Enrique voleva giocare come il Barcellona e la domanda che mi sono fatto era dove poteva giocare Francesco. Lui è il campione che ti fa la differenza in tutte le posizioni e che tutti gli allenatori vorrebbero, ma è normale che a questa età va gestino diversamente. Se devi farlo giocare gli devi costruire la squadra attorno”.
Roma-Napoli?
“Non è una partita facilissima, perché il Napoli viene dalla vittoria di Lecce e la Roma da una sconfitta. La Roma deve portare a casa il risultato per trovare i punti e la tranquillità. Sono partite che i giocatori sentono e che tutti vorrebbero giocare, ma la Roma deve fare la Roma e tirare fuori il carattere contro una squadra forte”.
Campagna acquisti per Luis Enrique, un allenatore non dovrebbe fare di necessità virtù?
“Diciamo che tutti gli allenatori vorrebbero portarsi in squadra i giocatori con delle caratteristiche particolari. L’allenatore ormai deve allenare i giocatori in funzione delle proprie caratteristiche. Non c’è un modulo di gioco ben preciso, anche a me piace giocare un calcio offensivo, ma se mi ritrovo in rosa 5-6 difensori è normale che devo adattarmi. E’ passato il tempo degli allenatori che ottengono quello che vogliono”.
Mental coach?
“E’ la mentalità diversa. Io vengo da un calcio antico e ho avuto la fortuna di essere allenato da allenatori che erano punti di riferimento, erano leader e che la squadra doveva seguire anche nei suoi atteggiamenti. L’allenatore è fondamentale per questo e non per quello che insegna in campo. Antonio Conte che conosco molto bene, vedo che la squadra si rivede in lui, è presuntuosa e ci crede. Ogni allenatore ha il suo modo di lavorare, sono io che devo mantenere tranquillo lo staff e la squadra, poi un allenatore decide di avere 3-4 persone vicino per dargli tranquillità”.