Parla il figlio del compianto capitano giallorosso: “Papà cercava sempre di trasmettere sicurezza all’esterno”
ROMA LAZIO INTERVISTA LUCA DI BARTOLOMEI / WEB – Luca Di Bartolomei, figlio del compianto Agostino, ha rilasciato una lunga intervista per un sito di carattere sportivo. Queste le sue parole:
Lo chiama Ago, come tutti i tifosi. Curzio Maltese ha definito tuo padre: ‘un uomo fondamentalmente serio, in un mondo cialtrone’. Raccontaci l’Agostino Di Bartolomei che hai vissuto.
“Ricordo un padre affettuoso, la sua enorme presenza: non mi dimenticherò mai il periodo della scuola: lui si alzava intorno le sette, veniva con me nel letto e vedevamo insieme il telegiornale. Mi ricopriva di attenzioni, nonostante i suoi numerosi impegni. Era un tipo divertente, ironico, molto lontano dal ritratto serio che gli si è cucito addosso. Come professionista sentiva la responsabilità del suo ruolo, di essere per tanti un esempio”.
Qual è stata la tua reazione, quando la produzione Vega’s Project ti ha chiamato per esporti la loro idea di film.
“Loro si erano presentati carichi di aspettative, io invece ero in un momento delicato, spiegato dalla lettera da me scritta nella prefazione del libro dedicato a papà di Giovanni Bianconi e Andrea Salerno, parole atte a raffigurare la parte più fanciullesca di un ragazzo cresciuto senza un padre, che ne sente profondamente la mancanza e nonostante il grande amore non lo perdona per il suo gesto. In questo contesto emotivo ho conosciuto Francesco Del Grosso (regista) e Daniele Esposito (il produttore). All’inizio ho reagito in maniera fredda, oltretutto ascoltare i tanti aneddoti dei tifosi su Ago, mi ha sempre comportato l’aprire la ferita e non mi sentivo pronto a ritirare fuori un momento così difficile della mia vita. Però successivamente mi ha colpito molto che l’idea della narrazione fosse venuta a due ragazzi; non hanno voluto raccontare la storia di un calciatore, ma di un uomo e da lì è nato un percorso di fiducia con il regista, che mi ha portato ad accettare la sua proposta”.
La pellicola, infatti, lancia anche un messaggio sociale, ovvero il dramma di ritrovarsi soli dopo aver avuto uno straordinario successo.
“Oggi è molto più semplice parlarne, ci si confronta con una realtà che sta diventando sempre più professionistica. Venti anni fa era un’altra cosa, il calcio è stata terra di conquista, lo hanno dimostrato gli scandali, predoni che facevano il bello ed il cattivo tempo. Oggi Ago avrebbe avuto più spazi, perchè le società stanno iniziando a scoprire il valore economico della loro storia e delle loro bandiere. Non abbiamo mai addossato colpe a nessuno. Ago era una persona meravigliosamente complessa in questo, non credo sia giusto dare delle responsabilità, ma tanti avrebbero potuto fare un po’ di più”.
Hai sempre dichiarato di non esser mai riuscito a perdonare tuo padre per quello che ha fatto, ma qual è l’insegnamento più importante che ti ha tramandato in vita?
“Non faceva distinzioni tra il campo e la vita reale, per lui il campo era un luogo dove si doveva essere uomini dall’inizio alla fine, il calcio era lavoro. Quelle volte che ho avuto la fortuna di poter svolgere qualche allenamento con lui, mi ha donato degli insegnamenti fondamentali, che spero di tenere sempre in vita: la serietà nell’affrontare ogni impegno e la lealtà, il rispetto nei confronti dell’avversario e di chi ha maturato fiducia in te”.
Agostino Di Bartolomei era un capitano molto rispettato dai suoi compagni di squadra. Come riusciva a trasmettere il suo carisma?
“Ago frequentava fuori dal campo tante persone, sopratutto quando era necessario tenere unito il gruppo, facendo da chioccia ai compagni, anche nelle occasioni di rinnovi contrattuali. Lui riusciva a mantenere rapporti quotidiani e professionali anche con tanti tifosi illustri. Tutto ciò gli ha permesso di avere un certo ascendente sulla squadra”.
‘Ti hanno tolto la Roma, ma non la tua curva’. E’ stato uno striscione dedicato dai tifosi giallorossi a tuo padre nel 1987, dopo il suo trasferimento al Milan. Quanto soffrì tuo padre per non aver avuto la possibilità di dedicare la sua intera carriera alla Roma?
“Il suo addio alla Roma è stato uno strappo fortissimo, per lui, per i tifosi e per la società. Ci furono dei dissapori con un grande presidente, quale è stato Viola, un altro uomo vero come Ago, con cui c’è stata una discussione tra pari e sempre tra pari, la decisione di interrompere quel rapporto. Quel dolore fu grandissimo, se si fosse evitato, probabilmente tutta la storia sarebbe andata diversamente. Non è un mistero che avesse due foto nella sua agenda: una di Padre Pio a cui era molto legato, l’altra della curva della Roma con dietro quella famosa frase a cui facevi riferimento, donata dal commando in ricordo dei tanti momenti passati insieme. Loro conoscevano Ago. Veniva da Tor Marancia, da un contesto normale. Tanti giovani riconoscevano in lui la figura di capitano romano e romanista come è Totti, come lo sarà De Rossi”.
Come giudichi la riapertura dei cancelli di Trigoria ai tifosi?
“E’ una cosa giustissima, nel calcio italiano ci vuole un concetto di management professionale: non si fanno soldi sui tifosi, ma per una passione comune si può chiedere a queste persone un piccolo sacrificio per l’interesse della squadra. Io, se so che quei soldi possono contribuire a costruire una potenziale vittoria, li do. In questo senso, i tifosi romanisti sono davvero gli unici proprietari della squadra, sono quelli che mantengono il valore più grande della Roma, ovvero la sua storia e la sua città, un simbolo universale”.
Quali sono gli oneri dei calciatori di oggi verso i più giovani?
“Penso a Francesco Totti, alle cose meravigliose che ha fatto con la beneficenza. Un calciatore che diventa un idolo deve avere giustamente degli oneri: comportarsi in maniera corretta, riconoscere i propri sbagli, chiedere scusa ed andare avanti. Andare nelle scuole è fondamentale, per trasmettere la correttezza dei valori della lealtà, dell’onestà, il far capire che esistono altre strade nella vita, oltre a quella di giocare a calcio. Io mi auguro che Damiano Tommasi porti sempre di più i calciatori nelle scuole, ad incontrare i ragazzi che stanno nei centri di identificazione ed espulsione, a conoscere le mille sfaccettature di questo paese. Il calcio dovrebbe unire come la musica”.
Ultima domanda. Domenica ci sarà il derby. Come lo viveva tuo padre?
“Come un terremoto dentro, possibilmente cercando di trasmettere sicurezza all’esterno”.
Marco Decrestina