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Roma, Osvaldo: ”Quanto mi rode non giocare il derby”

Le parole del numero 9 giallorosso che, a causa dell’espulsione rimediata a Bergamo, e’ stato squalificato per due giornate

Il numero 9 della Roma Pablo Daniel Osvaldo

ROMA OSVALDO QUANTO MI RODE NON GIOCARE DERBY / ROMA – Nella capitale, Pablo Daniel Osvaldo, ha avuto un rapporto non facile con i la tifoseria, almeno all’inizio. Tante sono state le critiche sul costo del suo cartellino. C’era chi non lo riteneva un giocatore da Roma. Poi i gol sono iniziati ad arrivare ed ora l’italo-argentino sarebbe capocannoniere tra i giallorossi se Carrer, durante la partita contro il Lecce, non gli avesse annullato quella splendida rete in rovesciata. Certo, ci sono caratteristiche di Osvaldo che ancora non convincono, come il suo carattere, si’ da combattente ma spesso passionale. Un carattere che gli e’ costato l’esclusione dal derby. L’ex Espanyol ha concesso un’intervista ad un noto quotidiano sportivo, dove ha parlato non solo del derby ma anche del suo modo di essere. Ecco le sue parole:

Osvaldo, cominciamo dal derby?

Non mi ci fate pensare. Mi dispiace tantissimo non giocarlo. Anzi mi rode, come si dice a Roma. Non ci saro’ per un’ingiustizia: non meritavo l’espulsione a Bergamo.

Le immagini non hanno chiarito il suo contatto con Cigarini.

Se era da cartellino rosso il mio fallo, il mio avversario meritava un rosso e mezzo. Purtroppo è andata così: pazienza.

Ha la sensazione che la sua fama di ragazzo turbolento incida sulle decisioni degli arbitri?

Sicuramente. A volte sembra ce l’abbiano con me. Purtroppo nel calcio questo tipo di condizionamenti c’e’ sempre stato: certi giocatori fanno il triplo delle cose che faccio io eppure non vengono puniti. Dovrò stare più attento: se non avessi commesso un fallo, non saremmo qui a commentare un’espulsione.

Come spiega la nomea di attaccante attaccabrighe? 

L’avete creata voi giornalisti. Sono sempre stato dipinto come una persona litigiosa, ma non lo sono. Odio stare al centro delle polemiche. Vorrei fare notizia per qualcosa di positivo. In ogni caso, mi interessa poco quello che si dice.

Senza Osvaldo come finisce il derby?

Uguale. Anzi, forse è meglio per la Roma. La mia assenza non influirà sulla squadra, che ha tanti giocatori bravi. Ma non chiedetemi un pronostico perché sono troppo incavolato. Speriamo bene.

L’espulsione le ha fatto perdere anche la Nazionale. E’ una punizione corretta?

Sì. La presenza di un codice etico fa crescere una squadra. E va applicato. Naturalmente poi mi dispiace che sia toccato a me restare fuori.

Contro la Lazio intanto rientra De Rossi dopo la squalifica… di Luis Enrique.

L’allenatore ha fatto una scelta, non vorrei entrare nel merito … Anzi sì, esprimo il mio parere, perché non riesco a non dire quello che penso: io non l’avrei lasciato fuori per un ritardo.

Forse è proprio questa sua sincerità scomoda a non piacere a tutti…

Non posso farci niente, non so stare zitto. Ho un carattere di merda. Ma è anche grazie a questo carattere che sono arrivato alla Roma. Sono un lottatore.

In questo modo ha conquistato i tifosi.

Con loro mi sono trovato bene da subito. La gente è fantastica, unica, sa emozionarti: allo stadio ogni volta che ascolto l’inno mi viene la pelle d’oca.

La chiamano er Cipolla per via del modo in cui lega i capelli. Le piace? 

No, ma mi fa ridere. Non puoi che ridere davanti ai soprannomi che ti danno i romani.

Eppure all’inizio c’era scetticismo sul suo conto, perché in Italia ricordavamo un altro Osvaldo. 

Chiaro. Anche io prima di essere un calciatore sono stato un tifoso. Non mi conoscevate, perché quando sono andato all’Espanyol venivo da un periodo difficile. E’ stata anche colpa mia: non ero un grande professionista, ero un ragazzino che sbagliava molto, che non si comportava bene.

Cosa manca a Osvaldo per diventare un calciatore top a livello internazionale?

La continuità. Non sono mai riuscito a giocare una stagione intera ad alti livelli. Nemmeno lo scorso anno all’Espanyol: ero partito forte, poi mi sono dovuto operare agli adduttori. Sicuramente posso dare di più.

Nella Roma ha impiegato poche settimane per essere decisivo.

E ho anche cambiato ruolo, adattandomi alle esigenze di Luis Enrique. Non lo dico per fare polemica, anzi ringrazio l’allenatore perché mi ha insegnato un nuovo modo di giocare che mi ha fatto raggiungere la maglia azzurra, ma è un dato di fatto: a me piace giocare centravanti, per essere sempre vicino alla porta. Invece così è più difficile.

Luis Enrique l’ha voluta a tutti i costi alla Roma. E’ stato un suggerimento di De La Peña?

Sì. Ivan mi conosceva essendo stato il mio capitano, un grande capitano. Luis Enrique l’ho conosciuto l’anno scorso, quando è venuto a vedere una partita dell’Espanyol. Sapevo di piacergli, poi le società hanno trovato un accordo

E Totti che capitano è?

Il numero uno. Mi ha sorpreso come persona: la sua semplicità è unica. In campo non ti rimprovera mai anche se sbagli mille passaggi. Io invece mando sempre qualcuno a quel paese….

E tra i calciatori, chi l’ha sorpresa?

Pjanic. Non pensavo fosse così forte perché non lo conoscevo. Del resto, a casa non guardo le partite. Altrimenti mia moglie mi caccia di casa.

A proposito di tecnici, a chi deve di più? 

Zeman, che mi ha insegnato a Lecce dei movimenti offensivi incredibili. Gli auguro di salire in A con il Pescara. Ci sentiamo ancora, attraverso un amico comune: Filippo Fusco, una specie di secondo manager dopo il mio secondo padre, Dario Decoud. E poi dico grazie a Pochettino, che all’Espanyol mi ha preso dal Bologna senza nemmeno conoscermi di persona. Se avessi sbagliato quell’occasione, sarei tornato in Argentina. Invece mi sono rilanciato: merito anche della fiducia che lui mi ha dato. Infine cito Luis Enrique, che ci sta trasmettendo una mentalità stile Barcellona: vincente. Credo e spero che rimarrà a lungo alla Roma.

E Osvaldo che progetti ha?

Fermarmi qua. Volevo provare l’esperienza in Spagna e l’ho provata. Ora voglio vincere tanto a Roma.

 

Marco Pennacchia

 

Marco Pennacchia

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